Avevo neppure tredici anni. Ero a casa di mia zia, appena tornato da una festa di matrimonio. Dalla tivù, la sigla del telegiornale irruppe ad un orario insolito. Un'edizione straordinaria. L'annuncio di un fatto molto grave. Le immagini di quelle auto distrutte e di quell'autostrada esplosa e riconoscibile soltanto guardando i cartelli segnaletici. Di quell'autostrada sulla quale con i miei genitori e i miei fratelli avevo viaggiato tante volte. Rimasi sbigottito. Capii in poco tempo il significato di quella notizia per la Sicilia e per l'Italia intera. L'indomani, i giornali dedicarono almeno la metà delle pagine complessive a quella durissima, sconvolgente realtà.
Non dimentico le immagini dei funerali, il lunedì successivo. Ero a scuola. Diverse classi tutte riunite nella nostra aula ad assistere in silenzio alle esequie in diretta televisiva. Non dimentico la rabbia della gente, furiosa nei confronti dei politici. Non dimentico il pianto e le commoventi, lucide, fortissime parole di Rosaria Costa, la vedova di Vito Schifani, uno degli uomini della scorta rimasti uccisi: «A nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non)... ma certamente non cristiani... sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare...... ma non cambiano!»
Da qualche anno i nomi di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro sono ben visibili sulla stele al margine della carreggiata autostradale, proprio nel punto in cui si consumò la strage di Capaci. In questi sedici anni, i loro nomi sono stati stampati e ristampati sui giornali, sui libri. I loro nomi li troviamo su internet. I loro nomi, ma soprattutto i perché (o i tentativi di trovare i perché) della loro morte, viaggiano attraverso i documentari e le bocche e gli scritti di giornalisti, politici, esperti di tutto il mondo e cittadini comuni che intervengono nei dibattiti sulla mafia e sugli intrecci tra politica e sistemi deviati a livelli nazionale e internazionale. Giovanni Falcone e i suoi collaboratori lavoravano per una Sicilia libera e più bella. E non soltanto per la Sicilia.
Non ho mai avuto modo di conoscerlo direttamente, Giovanni Falcone. Le sue doti migliori e la sua opera mi sono state raccontate da persone più grandi di me. Lo immagino sempre vivo, con la sua umanità e la sua dignità. Penso a come Giovanni Falcone trattava i collaboratori di giustizia: sapeva trarre il meglio dal peggio della natura umana. Il messaggio e il sacrificio suo, di Francesca, di Vito, di Rocco e di Antonio continuano ad illuminare qualcuno che crede ancora in una vita più giusta, in un ideale che è come un raggio rischiarante dall'oscurità di un mondo dominato dalla cultura della prevaricazione, della forza bruta, della morte. Quell'oscurità contro cui Giovanni Falcone lottava, da solo, nella terra del sole.
Massimo Provenza
massimo mi hai fatto rivivere quel giorno come non hanno saputo fare tv e giornali...ne hai parlato dal punto di vista di un ragazzino qualunque nel quale mi sono rivista...la dinamica della mia giornata fu molto simile alla tua...mi hai fatto venire un flsh nella mente...bel post
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